Non chiamateli nullafacenti: la fatica di essere Oblomov

A basarsi sulle voci che circolano sul suo conto, si potrebbe anche dire che Il’ja Il’ič Oblomov sia il personaggio più pigro della storia della letteratura. Se non fosse che questa sintesi risulterebbe ancora più pigra e sciatta dello stesso Oblomov, espressione di quella medesima forma di ragionamento superficiale e sbrigativo che l’antieroe del romanzo di Ivan Goncharov ha modo di deplorare in più occasioni, tra le pagine del libro.

E allora conviene forse dedicargli un po’ di tempo in più, al nostro Oblomov, e capire cosa c’è dietro il suo sguardo sognante e all’apparenza sempre sereno; capire che cosa lo spinga a non agire (allo stesso modo in cui, di fronte a un personaggio o a una persona, siamo sempre portati a chiederci cosa lo spinga ad agire). Osservarlo, analizzarlo, studiarlo, non è poi difficile, tanto lui non scappa –anzi, fino a un quarto del libro non si muove proprio dalla sua stanza: che è insieme camera da letto, studio, cucina, soggiorno per gli ospiti, rifugio e prigione, culla e tomba delle sue ambizioni.

Così facendo vedremo emergere, nei dialoghi con gli amici e conoscenti, da lui continuamente rimproverati perché “fanno entrare il freddo” (letteralmente, ma non solo) qualcosa che assomiglia molto a una filosofia. In fin dei conti l’otium, inteso come il tempo dedicato alla riflessione su sé stessi e sul mondo, era uno dei cardini del pensiero di filosofi e artisti come Seneca, Ovidio, Orazio.

Ma d’altra parte Oblomov non è un artista, né un filosofo. È, più semplicemente, una persona abbastanza forte da mettere in discussione i valori della società in cui vive e rifiutare gli obiettivi che essa indica come giusti e desiderabili (il potere, la celebrità, la ricchezza: vi pare familiare, il quadro?), ma non abbastanza forte da trasformare questa critica in azione, in progetto di vita.

Sconfitta o vittoria sulla società

Benché ad animarlo siano le migliori intenzioni e i più nobili sentimenti ( l’amicizia per Andrej Štol’c, l’amore per la giovane e bella Ol’ga), Oblomov è condannato alla sconfitta: e nella sua sconfitta si riflette la condizione e il destino di un’intera classe sociale, di un’intera generazione di giovani russi, divisa tra il desiderio di creare un mondo nuovo, migliore, più aperto (Oblomov vagheggia di realizzare grandi opere nella piccola e remota tenuta di cui è proprietario: costruire scuole e strade, migliorare le condizioni di vita e di lavoro della popolazione locale), e l’impossibilità di scuotersi di dosso il pesante fardello della gerarchia e delle tradizioni.

Che nel romanzo prendono la forma di un’infanzia idilliaca, priva di disordini, problemi, contrasti di ogni tipo, talmente luminosa da mettere in ombra tutto il resto della sua esistenza: che verrà trascorsa nel tentativo -inevitabilmente fallimentare – di ricrearne la condizione di assoluta beatitudine, di gioiosa spensieratezza.

La nostra puntata

Come sempre in questa seconda stagione di Te Lo Leggo ad Alta Voce, la puntata inizia con una citazione cinematografica del film tratto dall’omonimo romanzo. In questo caso parliamo della pellicola del 1979 di Nikita Mikhalkov. Per sottolineare le letture abbiamo scelto l’album ambient Movement di Dessin Bizare il progetto musicale del giovane moscovita Ivan Krasnov. In playlist anche i 2 Brothers on 4th Floor, Ivan Graziani, Rain Parade, The Cranberries, Eels e per chiudere Uriah Heep.

Buon ascolto e buona lettura.

 

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